Ho visto cose...

Francesco Zucco, giornalista di TTG Italia

Cos'è lo storytelling (spiegato da mio figlio) e perché serve in agenzia

17/10/2014
11:14
 

"Ftam la fa gheh dapa".

È con queste esatte parole che mio figlio mi ha spiegato, con ampi dettagli, cos'è lo storytelling. E, soprattutto, perché può tornare utile, nelle agenzie di viaggi ma non solo.

Talmente chiaro che mi verrebbe da non aggiungere altro.

Me l'ha dovuto ripetere tante, tante volte. Ammetto che, sulle prime, sono rimasto interdetto, dal momento che non riuscivo a capire il significato profondo di quanto mi stava dicendo.

(Detto tra noi, sono convinto che sotto sotto il piccolo Edo sia convinto di avere un padre un po' stordito, al quale bisogna ribadire le cose cinquanta volte prima che capisca. I genitori più esperti mi hanno detto che questa fase sarebbe arrivata solo nell'adolescenza. Secondo me hanno mentito)

Il fatto è che, con questa faccenda dello storytelling, mio figlio mi ha fregato. Su tutta la linea. E più di una volta.

Parto dall'inizio, ovvero da quando il giovane ha sviluppò la passione per la musica. All'epoca (qualche mese fa) il gioco era semplice: lui si avvicinava al lettore cd della cucina e si sbracciava dicendo "ta-ta". E ripeteva l'onomatopea fino a quando il sottoscritto non faceva partire il disco.

Poi, un giorno, il gioco si è complicato. Ora voleva vedere il display luminoso, lo sportellino che si apriva e via dicendo.  

Da quel momento... "Ftam la fa gheh dapa". Non ridete. È un dramma vero. Un bambino di un anno e mezzo che si produce nell'imitazione del capitone mentre lo tenete in braccio e ripete sillabe apparentemente prive di senso è qualcosa che potrebbe mettere a disagio anche il comandante dei Marines di Full Metal Jacket.

Cercavo di capire, ma non ne venivo a capo. Sembrava cercare qualcosa che non trovava. Cambiavo disco ma, dopo qualche secondo di calma, la sarabanda ricominciava. "Ftam la fa gheh dapa", ripeteva.

Poi indicava la manciata di custodie sul ripiano, e allora ripartivo alla caccia del 'motivo misterioso': quello che (anima candida!) pensavo mio figlio stesse cercando.

Mi sbagliavo. Mi sbagliavo tragicamente.

Un giorno, finalmente, ho capito. Quello che voleva non era un motivetto annidato in chissà qualche traccia nascosta di uno dei cd. Il gioco era diventato vedere me che fermavo il lettore, aprivo lo sportellino, sostituivo il cd e facevo ripartire il tutto.

Lo avrei definito con parole molto brutte, non fosse stato sangue del mio sangue. E, soprattutto, se con quel girotondo non mi avesse spiegato cos'era lo storytelling.

Quanto è accaduto, infatti, rientra esattamente nelle 7 caratteristiche di questa disciplina, secondo quanto spiegato da 4marketing.biz in questo articolo.

Lo storytelling, elenca l'autore del post, si caratterizza perché:

1) Contiene delle emozioni (Sfido chiunque a definire un qualsivoglia "Ftam la fa gheh dapa" come un tipo di comunicazione linguistica...)

2) Usa i sensi per descrivere il prodotto (11 chili di simpatia che si agitano mentre li tenete in braccio, a tutto discapito della vostra colonna vertebrale, usano una bella fetta dei famosi 5 sensi...)

3) Mette al centro della storia "il perché" (ad esempio: "ma perché si sbraccia così?)

4) Crea nella mente dell’ascoltatore un nuovo mondo (questo punto, carissimi, credo non abbia bisogno di spiegazioni... chiunque abbia bambini piccoli conosce la sensazione di trovarsi catapultato tra alieni che parlano lingue a noi sconosciute)

5) È legata ai valori identitari (e ci vuole un bel po' di carattere per costringere il prossimo a spaccarsi la testa cercando di capire costa stiate dicendo)

6) Non ha l’obiettivo di convincere ma di coinvolgere (vi assicuro che ero molto, molto coinvolto...)

7) Attiva il pensiero laterale (per capire dove voleva andare a parare mi ci è voluto parecchio pensiero laterale...)

Senza contare il punto fondamentale: mi ha convinto a fare quello che non avevo intenzione di fare, soprattutto mentre pensavo di fare altro! In termini commerciali, ha venduto qualcosa senza (apparentemente) cercare di venderla.

E il tutto con una semplice formula apparentemente priva di significato.

Inevitabile pensare, a questo punto, a tutto quell'ampio bagaglio di terminologia tecnica del turismo usato correntemente dagli agenti di viaggi ma pressoché sconosciuto anche al più 'scafato' degli smanettoni. Il primo esempio che mi viene in mente sono le sigle Iata degli aeroporti o delle compagnie aeree: quasi delle formule alchemiche, che in pochi padroneggiano a fondo. Ma sono sicuro che un agente in gamba potrebbe trovare decine di parole dal suono affascinante e dal significato oscuro ai più.

Un po' di terminologia 'esoterica' può aiutare a trasportare il cliente in un mondo magico, alternativo, che suscita nuove esperienze?

Anche questo, dicono gli esperti, è storytelling...


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