Uvetgo, la stradadel tour operating secondo Luca Patané

“Ultimamente va di moda parlare di ‘ibrido’… ecco, noi siamo un gruppo ibrido. Una nuova forma di turismo, non puri dettaglianti e non puri tour operator”. Di sicuro, l’aggettivo usato da Luca Patané per illustrare la piega che sta prendendo la sua Uvet suona sicuramente meglio della vecchia ‘integrazione verticale’. Anche perché, in realtà, è effettivamente una cosa diversa. E Patanè lo sa benissimo, tanto che in conferenza stampa non si fa problemi ad affermare: “Siamo un gruppo unico nel turismo, non vedo nessuno che sia simile a noi”.

È la U di Uvet, che sta per ‘Unicità’ secondo la nuova campagna di promozione del gruppo, che rilegge l’acronimo secondo una luce diversa: Unicità, appunto, poi Vocazione (“è un’azienda familiare, con un passaggio di generazione riuscito” ha spiegato Patané), Emozione (“dobbiamo saper emozionare, anche solo quando rispondiamo al telefono per fornire assistenza”) e Talento.

Anche quest’ultimo termine svolge un ruolo fondamentale: “L’abbiamo scelto perché è l’arte di cavarsela in tutte le situazioni, ma anche di affrontare il cambiamento”.

E tutto si può dire di Uvet, tranne che negli ultimi anni non sia cambiata. Tra le ultime rivoluzioni, il tour operating, portato avanti con il progetto Uvetgo. Un affondo su quel mercato leisure che il gruppo non ha nessuna intenzione di farsi sfuggire dalle mani, come è atto messo in chiaro anche dagli annunci della conferenza stampa di ieri.

Senza dimenticare la stoccata di Patané stesso agli operatori: “Il tour operating italiano è in crisi - ha affermato - Da 2008 è cambiato tutto”. Ma ha aggiunto: “Con l’operazione Santo Stefano riusciamo ad avere il 35 per cento dei repeater”.

E allora? Allora via al modello ibrido. Perché ormai, sembra voler dire Patané, non basta un modo solo per alimentare il motore del business. Ci vuole di più.

Francesco Zucco

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