Le divise della discordia

Con quel contrasto di rosso austero e verde deciso. Le loro linee severe che non lasciavano nulla di scoperto, sono state il simbolo del rilancio di Alitalia e il mirino di giudizi e polemiche di fashionisti, addetti ai lavori e stampa. Ora si torna a parlare delle divise, dal lato che forse si era scelto di ignorare, ovvero il loro costo.

È stato proprio il commissario Enrico Laghi a tornare sull’argomento 'abbigliamento di bordo', nel corso di una lunga intervista rilasciata a La Stampa. Un pensiero  a un nuovo cambio delle divise lo ha fatto, ma lo ha abbandonato subito, perché forse non è il momento giusto, tanto più non è il passo da fare per mantenere un dialogo con i sindacati e provare a risanare i conti. Perché, lo dice senza mezzi termini, “comporterebbe un costo e non è una priorità”.  “È chiaro – aggiunge rincarando la dose - che non hanno trovato un consenso: è il più piccolo, ma uno dei tanti errori compiuti da manager stranieri che non hanno capito l’essenza di Alitalia come simbolo italiano”.

Chi ne ha pagato il prezzo
Lo ha capito a sue spese Aubrie Tiedt, l’artefice del discusso cambio d’immagine, che entro l’estate lascerà il posto di chief customer officer. Poco gradita per “aver cercato di gestire il personale con una cultura aziendale come se fosse ancora in Etihad”, diceva subito dopo l’annuncio del suo licenziamento Corriere.it.

Recuperare lo spirito italiano
E forse il pensiero, anche fulmineo, di Laghi al cambio delle divise risiede proprio qui, nel voler salutare definitivamente la disciplina Etihad per recuperare, almeno nella forma, un po’ di spirito italiano.

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