Non sono più né il brand né il programma a punti a determinare il grado di competitività di un albergo e la sua capacità di differenziarsi sul mercato, bensì il livello di personalizzazione dei servizi che offre agli ospiti. I quali, dal canto loro, sono sempre più disposti a comunicare agli alberghi informazioni personali a fronte della certezza che saranno utilizzati per fornire un servizio migliore e più vicino alle loro preferenze ed esigenze.
Il desiderio dei cienti di essere conosciuti e riconosciuti
Lo studio Customer Experience in Hospitality, prodotto da Forrester Consulting per conto di Sabre, rileva però che gli albergatori non sfruttano ancora appieno le opportunità date loro dalla tecnologia e dai dati per massimizzare la relazione con i clienti e tradurla in azioni e servizi concreti a tutto vantaggio del proprio business. Secondo l’indagine, il 62 per cento dei viaggiatori intervistati ha affermato di avere scelto, consigliato o pagato di più per un albergo che ha offerto loro un servizio o un’esperienza personalizzati. Inoltre, meno di metà degli ospiti leisure e business (con l’unica eccezione di chi viaggia per lavoro molto frequentemente) è fedele a un brand alberghiero, ma allo stesso tempo sono più numerosi (39 per cento) quelli che dichiarano di preferire un soggiorno in un albergo che li conosce rispetto a una struttura che non sa niente di loro.
Le informazioni personali che si comunicano più o meno volentieri
Per farsi conoscere, il 51 per cento dei clienti degli alberghi acconsente a fornire informazioni personali, in percentuale più elevata nella fascia di età sopra i 55 anni (58 per cento) e più ridotta fra chi ha dai 19 ai 34 anni (39 per cento), generazione forse meno sensibile alle comodità della personalizzazione o forse più sensibile al tema della privacy. Le informazioni personali che gli ospiti sono più disponibili a condividere sono quelle 'di servizio': preferenze riguardo alla camera, informazioni sul viaggio (numero del volo etc), informazioni di contatto e di pagamento.La disponibilità cala quando si tratta di fornire informazioni sul proprio regime alimentare, sugli hobby o sul possesso e uso di dispositivi tecnologici, e pochissimi (solo il 7 per cento) sono disposti a comunicare i dati dei propri account social o informazioni sulla propria famiglia.
I servizi più apprezzati
In cambio dei dati, gli ospiti vogliono sconti, offerte speciali, servizi su misura per loro: quelli che riscuotono più interesse sono check-in e check-out negli orari desiderati, l’assegnazione della camera sulla base delle preferenze espresse in passato, il supporto nella ricerca di luoghi e attività turistiche scelti su misura, la disponibilità di guide turistiche che parlino la propria lingua. Meno importanti sembrano essere i servizi della camera: temperatura preferita già impostata, quotidiano preferito, minibar con gli snack e le bibite più graditi.
Un'esperienza migliore genera ricavi maggiori
Secondo lo studio, migliorare anche di poco l’esperienza dell’ospite può significare per l’albergo un aumento dei ricavi: nelle strutture di fascia alta anche solo un punto in più nel Customer Experience Index, il benchmark di Forrester che misura la fidelizzazione degli ospiti, si traduce in un incremento di 6,52 dollari del ricavo annuale per cliente. Non sembra molto, ma per le grandi catene, quelle da 10 milioni di clienti l’anno, è un impatto incrementale di 65 milioni di dollari.
La tecnologia per avere una visione complessiva dell'ospite
La chiave per giocarsi bene il tema dell’esperienza dell’ospite è la tecnologia, conclude il report: l’integrazione delle piattaforme e dei dati (derivanti dal booking diretto e dal booking tramite Ota) permettono all’albergo di avere una visione univoca e complessiva del cliente e di offrirgli quindi un elevato livello di personalizzazione su tutti i canali di ricerca e prenotazione.