Contributi Covid e perdite fiscali: attenzione alle contestazioni del Fisco

Negli ultimi mesi numerose imprese stanno ricevendo schemi di atto da parte dell’Agenzia delle Entrate relativi all’utilizzo, in compensazione, delle perdite fiscali maturate negli anni della pandemia. Le contestazioni non riguardano la legittimità dei contributi a fondo perduto percepiti, ma il fatto che le perdite verificatesi negli anni del Covid possano essere portate in diminuzione degli utili degli anni successivi.

In sostanza, il Fisco ritiene che le imprese abbiano beneficiato di un “doppio vantaggio”: da un lato il contributo a fondo perduto non tassato, dall’altro la possibilità di dedurre interamente le perdite maturate.

Di fatto, l’Agenzia delle Entrate ritiene che i contributi a fondo perduto Covid debbano andare a diminuire le perdite fiscali accumulate rendendoli quindi, sostanzialmente, assoggettati a tassazione come se fossero dei veri e propri utili d’impresa.

Tale interpretazione, tuttavia, non trova riscontro nella legge. L’articolo 10-bis del decreto-legge 137/2020 (Decreto Ristori) e le altre norme istitutive dei contributi emergenziali stabiliscono chiaramente che tali somme “non concorrono alla formazione del reddito imponibile né alla base IRAP” e non rilevano ai fini dei rapporti di deducibilità previsti dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi.

Pertanto, la posizione dell’Agenzia appare giuridicamente infondata e rischia di penalizzare molte imprese che, in buona fede, hanno utilizzato le perdite maturate in anni di gravi difficoltà economiche.

La questione assume particolare rilievo nel comparto turistico, duramente colpito dalla pandemia. Agenzie di viaggio e tour operator hanno subito nel 2020 e 2021 crolli di fatturato superiori all’80%, con sospensioni forzate delle attività e annullamenti di massa.

Per sostenere il settore, il legislatore aveva introdotto specifici contributi a fondo perduto (art. 182 del D.L. 34/2020 – Decreto Rilancio), successivamente rifinanziati dai D.M. 11 agosto, 24 agosto e 30 dicembre 2021, oltre ai fondi del Ministero del Turismo. Tutti prevedevano la non concorrenza al reddito, proprio per preservare integralmente le perdite fiscali e favorire la ripresa.

Oggi, applicando la tesi dell’Agenzia, un’impresa con una perdita di 600.000 euro e contributi ricevuti per 400.000 euro potrebbe riportare perdite per solo 200.000 euro, perdendo il beneficio del riporto integrale. Al momento del ritorno all’utile, pagherebbe imposte piene, come se non avesse mai subito i danni economici della pandemia.

Il tema, però, non si limita al turismo. Se la tesi del Fisco venisse estesa, potrebbe coinvolgere anche altri aiuti e crediti d’imposta non imponibili, come gli incentivi per investimenti 4.0 e 5.0 o i bonus per ricerca e innovazione. In pratica, la detassazione varrebbe solo per le imprese in utile, mentre chi chiude in perdita vedrebbe annullato l’effetto compensativo.

Un simile approccio creerebbe una distorsione sistemica, contraria ai principi di equità e capacità contributiva sanciti dalla Costituzione, oltre a minare la fiducia delle imprese nei meccanismi di sostegno pubblico.

Per evitare un’ondata di contenziosi, serve un intervento legislativo o interpretativo che chiarisca definitivamente la natura dei contributi Covid (e, per analogia, di tutti gli aiuti analoghi). Solo così si potrà garantire certezza del diritto, evitare penalizzazioni retroattive e preservare la coerenza del sistema tributario.

Le contestazioni sul riporto delle perdite legate ai contributi emergenziali rappresentano una lettura restrittiva e priva di fondamento. Nel caso di agenzie di viaggio e tour operator, rischiano di vanificare lo scopo stesso delle misure di sostegno, che era quello di garantire liquidità e continuità aziendale in una fase di crisi senza precedenti.

Per le imprese coinvolte, è fondamentale analizzare con attenzione gli atti ricevuti dall’Agenzia delle Entrate e valutare la strategia difensiva più opportuna.

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