Mi sono sempre occupato di outgoing. Ho iniziato con le vacanze studio, ho proseguito coi pacchetti di Alpitour, mi sono specializzato nei villaggi di Club Med e Ventaglio, quindi ho venduto tutti e tre in Frigerio Viaggi Network. Mai preso in considerazione l’incoming.
Quando si parlava di stranieri, nei vari t.o. che ho frequentato, pare servissero a riempire le settimane di spalla in qualche villaggio stagionale, e solo se erano disposti a pagare - e caro - il tanto celebrato “Italian Style”. Mai visto in agenzia un programma per la visita, chessò, dei luoghi manzoniani rivolta a un turista ticinese.
Da quando c’è la crisi, invece, l’outgoing va male e allora tutti si sono buttati sull’incoming. Agenzie che stavano per chiudere, ad Arma di Taggia o a Riccione, si sono riciclate nel vendere tour enogastronomici alla scoperta dell’olio di oliva taggiasca o della piadina romagnola, a truppe di russi o di irlandesi che pasteggiano a vodka o a whisky. Tour operator che hanno fatto le proprie fortune sulla settimana all inclusive (ai bei tempi ai Caraibi, più recentemente in Egitto) piazzata a coppie in viaggio di nozze con set di valige coordinato, ora disertano fiere e convention, e mandano i propri commerciali al Wtm a Londra, a scovare clienti non in Cina o in Russia (ormai è scontato pure lì...), ma in Brasile o a Dubai. E aprono filiali a Shanghai, a Minsk, a Doha, a Rio de Janeiro, come se i flussi dall’estero verso l’Italia nascessero adesso e - guarda caso - nessuno ci avesse pensato prima.
Vabbè, il motto è “va dove ti porta il business” e il cliente bisogna andarlo a prendere dov’è. Ma nel ricettivo, come in tutte le attività imprenditoriali, non ci si improvvisa. Chiedetelo a Mamberto, che da 63 anni è sempre lì, sul pezzo, a Borgio Verezzi. Dove c’è, peraltro, l’olio buono.