Thomas Cook, le norme dell’Europa e le cause del crac

Se ci fossero un mercato e una cultura dell'assicurazione diffuse, si sarebbe potuto evitare il contraccolpo su centinaia di hotel e t.o. italiani in seguito al fallimento di Thomas Cook. Ne è convinto Massimiliano Masaracchia, responsabile turismo del broker M&partners.

"Direttive comunitarie e fondi di garanzia, oggi coprono solo il turista - afferma -. Anche a livello assicurativo, oggi non esiste un prodotto per questo settore che tuteli i crediti nel rapporto cliente/fornitore. Ci stiamo ragionando con alcune compagnie partner, anche straniere".

Ma finora gli imprenditori hanno mostrato poca lungimiranza sui rischi del mercato. Questo è l'accusa.

Una questione di pricing?
"Prendiamo il problema cyber sicurezza, ormai diffuso, che colpisce grandi organizzazioni. Quando offriamo protezione su questo terreno alle grandi compagnie di crociere, sapete che cosa rispondono? 'Grazie, ma costa troppo'. E. sempre in Italia, si guarda solo a questo elemento: il pricing. Una scelta miope".

Intanto, le strutture fanno i conti per capire quanto sarà l'impatto del fallimento dell'ex colosso inglese. "Al momento, non resta loro che fare causa e mettersi in fila nell'elenco dei creditori" dice Masaracchia.

Federalberghi consiglia agli albergatori di contattare direttamente i turisti, che potrebbero pagare l'albergo e poi rivalersi sul fondo inglese per il rimborso. In media, si parla di una perdita potenziale tra 100 e 200mila euro per struttura.

Le cause del crac
Ma perché è fallita Thomas Cook, schiacciata da un debito da 1,7 miliardi di euro, ma che ancora a maggio annunciava l'acquisizione di tre hotel in Spagna? "Non c'entrano niente il caldo o la Brexit, come si è letto da qualche parte, che avrebbero frenato gli inglesi.  Thomas Cook era un operatore generalista, con centinaia di agenzia fisiche sulle spalle, che non reggeva più il confronto con le Ota, con i vettori low cost e con il fenomeno AirBnb".

Inoltre Thomas Cook "aveva scelto una politica fatta di acquisizioni, tra piattaforme on line, compagnia charter e strutture, che ha pagato anche la flessione di alcune destinazioni, vedi Sharm o la Turchia".

La validità del modello
Questo non vuol dire, però, che il modello del grande gruppo verticale, che racchiude al suo interno tante divisioni, sia destinato a fallire. "Thomas Cook non era destinato per forza a implodere, l'errore è stato di un management non all'altezza, che non ha saputo rinnovare. Ci sono tante imprese che vivono alla grande e che se hanno in pancia tante divisioni, dal t.o. alla compagnia aerea, sanno tenerli distinti quanto basta in modo che le debolezze congiunturali di uno non infettino subito il resto".

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