Da Apple a Disney: ecco i brand che dettano legge

Apple è il brand che vale di più al mondo, Disney è quello più forte. Valore economico e forza, i due parametri che misurano i brand come asset per le aziende che li detengono, sono concetti correlati ma diversi e separati.

La forza è legata ad ambiti di marketing e brand management, e si riferisce alla connessione emozionale con il pubblico, alla fedeltà dei consumatori, alla qualità percepita del prodotto, alla reputazione dell’azienda. Il valore economico, invece, somma i dati di forza a quelli relativi alle performance finanziarie e alle stime di fatturati, margini, investimenti e quote di mercato futuri.

Si capisce dunque come i due parametri non siano affatto statici, si legge su Eventreport.it, bensì soggetti a variazioni legate alle vicende di mercato che vedono (o non vedono) i brand protagonisti. Lo conferma il nuovo report di Brand Finance, la società di consulenza che ogni anno analizza le performance di migliaia di brand nel mondo per individuare i 500 che hanno maggiore valore economico e quelli che primeggiano nell’ambito più “intangibile” della forza.

I brand più forti
Disney è attualmente il brand più forte del mondo. Ha scalzato Lego, che si ritrova al secondo posto. La forza e l’appeal di Disney risiedono nella sua lunga storia, nelle sue creazioni, nei valori positivi che vi sono associati, ma anche nella sua strategia di acquisizioni, che includono la Pixar, la Marvel e Lucasfilm, con i correlati diritti sul brand Star Wars (che Brand Finance stima valere, da solo, 10 miliardi di dollari). E a portare Disney in cima alla classifica è stato il proprio il successo del 7° episodio di Star Wars, che negli Usa ha già guadagnato al botteghino 2 miliardi di dollari. Lego, un altro dei brand più amati di sempre, scende invece al secondo posto, penalizzato nell’immagine dalle controversie dell’ultimo anno – con Greenpeace per la partnership con Shell e con il governo tedesco per avere impedito ai rivenditori di concedere sconti sui propri prodotti. Al terzo posto nel ranking della forza c’è L’Oréal, che si posiziona con successo come brand di largo consumo capace però di mantenere un’aura di esclusività. Poi ci sono PricewaterhouseCoopers, McKinsey, Nike, Johnson’s, Coca-Cola, NBC (il network tv) e Google. Scompare dalla top ten Ferrari, che l’anno scorso era al 9° posto e quello precedente addirittura al primo.

I brand a maggior valore economico
I primi 10 brand per valore economico sono gli stessi dell’anno scorso, con solo qualche variazione al vertice del ranking. Il primato è ancora di Apple, il cui valore è aumentato del 14% e oggi arriva a 145,9 miliardi di dollari. La lieve flessione nelle vendite del più recente iPhone 6s non hanno troppo scalfito le sue performance finanziarie, con ricavi che nel 2015 hanno toccato i 233,7 miliardi di dollari. Il secondo posto è di Google, che quest’anno supera Samsung con un valore di brand di 94,1 miliardi di dollari, a +23% sullo scorso anno. Samsung scende al terzo posto seguito da Amazon, che con un valore di 69,6 miliardi di dollari guadagna 3 posizioni scavalcando Microsoft e Verizon grazie anche all’incremento dei ricavi portato dall’introduzione del servizio Prime di consegna in 24 ore. Seguono Microsoft, Verizon, AT&T, Walmart, China Mobile e Wells Fargo.

La situazione italiana
L’Italia sembra essere sempre più marginale nell’arena dei grandi brand. Per incontrare il primo brand italiano fra i 500 a maggior valore economico occorre scendere al 120° posto, occupato da Generali con 10 miliardi, che però in un anno ha perso 33 posizioni. In tutto sono 9 i brand italiani presenti in classifica e tutti, con l’eccezione di Eni ed Enel, hanno perso posizioni. Eni è risalito di 20 posti ed è 139° con 8,9 miliardi, Enel ne ha guadagnati 7 ed è 163°. Poi Telecom (224°), Gucci (262°), Fiat (277°), Ferrari (332°) e UniCredit, che ha perso ben 139 posizioni e si classifica 402° con 3,8 miliardi di valore di brand. A chiudere il gruppo italiano è Prada, anch’esso a meno 139 posizioni, al 446° posto della classifica.

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