La macchina del tempo e l’ascensore dello Sabbath

Quando gli amici della Hotelplan mi hanno invitato a partecipare alla loro convention in Israele ho detto di sì, senza neanche prendere fiato; avevo desiderato da sempre di visitare quei luoghi, di toccarli con mano.

Non avrei mai immaginato invece di trovarmi catapultato insieme a tanti simpatici colleghi, ad Andrea Vannucci e parte del suo team commerciale e di prodotto, dentro una macchina del tempo.
La collaborazione tra Hotelplan, l’ente del turismo Isrealiano, e le guide locali, ha permesso a tutti noi di vivere cinque giorni concentrati di esperienze uniche.

Israele, con i suoi mille volti, è una destinazione strana, complicata, la sua gente è sconvolgentemente dolce e sorridente quanto aspra e dura, antica quanto moderna.
La linea del tempo, in quei luoghi non segue un andamento continuo come in un film anzi, sembra che ogni tanto un fotogramma di quella pellicola venga fuori all’improvviso, e blocchi una data situazione, e la faccia rivivere continuamente, permanentemente, come in una di quelle fotografie animate e magiche che si vedono nei film di Harry Potter.

C’è una scala di legno, su un balcone, nella facciata del complesso del Santo Sepolcro che sta li da 200 anni, non può essere spostata, e simboleggia lo status quo del luogo che dalla guerra di Crimea e dagli accordi presi vieta qualsiasi cambiamento della situazione nel luogo più sacro ai pellegrini cristiani, anche questa, con i monaci ortodossi del tempio sembra un’immagine da un film del maghetto inglese.

A colazione, in albergo, guai a trovare pancetta e uova a causa di regole alimentari kosher elaborate in tremila anni di storia.
Gli ebrei ultraortodossi, quelli sposati, oltre all’abbigliamento scuro, indossano malgrado i 40 gradi all’ombra dei vistosi colbacchi. Quei cappelli simboleggiano un periodo del loro esilio vissuto in Russia, dove era vietato loro di indossare il colbacco, e per soddisfazione per la conquistata libertà ora lo indossano sempre.
E che dire della musica italiana anni '60 e '70 che allietava la festa delle luci di Gerusalemme, sembrava di stare in una nostra festa di paese di quei tempi, ciò a causa di un gusto importato in Israele dagli ebrei italiani immigrati giusto in quel periodo.
La simpatia, moderna, del responsabile dell’ente del turismo Israeliano e dei dipendenti degli alberghi visitati, faceva da contraltare ai sorrisi e all’ospitalità antica ma vitale, della famiglia ebrea religiosa che ci ha ospitati tutti nella propria casa per la festa dello Sabbath, il giorno del riposo.

Che esperienza indimenticabile, i canti di benedizione a cui abbiamo partecipato anche noi, la padrona di casa che malgrado in dolce attesa si prodigava per non fare mancare alla sua famiglia e ai suoi ospiti i cibi della tradizione, sentivi provenire dalle altre case del vicinato gli stessi cori di festa, di gioia, di gratitudine per la vita, i vicini che, come una volta da noi, a porte e finestre spalancate si scambiano sorrisi, gioia, festa.
E ancora, apri una porta e come attraverso magiche sliding door, titrovi nell’Italia Cattolica, come a San Pietro a Giaffa, oppure a Gerusalemme stessa dove basta spostarsi di pochi metri e sentirsi in Armenia, o in un suk Arabo, oppure lasci alle tue spalle il medioevo redivivo della vecchia città Santa e ti ritrovi nell’ultramodernità di Tel Aviv, 70 km più in la, città aperta e laica, dove giusto il giorno prima c’era stato il Gay Pride.

Ma il simbolo di questo viaggio, per me, è stato l’ascensore dello Sabbath, indimenticabile. La regola dell’astensione da ogni attività, il sabato, è stata adattata ai nostri tempi. Per evitare infatti l’azione, vietata, di attivare il pulsante del piano, dal venerdi sera al sabato al tramonto un ascensore è programmato per fare tutto da sé. Sale da solo fino all’ultimo piano e poi scende un piano sì un piano no, quindi ci sali e aspetti che ti porti lui dove devi arrivare, sempre meglio di prendere le scale che invece che alla lobby ti portano, magari, tra le cucine dell’albergo dove vieni guardato con sospetto o con tante risate dai cuochi e dai camerieri indaffarati a preparare la colazione.

Non comprendo molto la logica di questo escamotage per non salire le scale di Sabbath, forse premere un bottone non è un lavoro, ma si sa, logica, tempo e religione, non sempre vanno molto d’accordo e poi, la macchina del tempo va dove le pare e piace.

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