Alitalia e il suo destinoTaglio ai costi, prezzi e pianificazione la ricetta per salvarla

Saranno circa 12.500 i dipendenti Alitalia chiamati ad esprimersi sul destino della compagnia con un referendum. Le modalità e i tempi della consultazione tra i lavoratori verranno decisi nelle prossime ore, a seguito del verbale di pre-accordo raggiunto nella notte di venerdì scorso, 14 aprile. E se dovesse vincere il ‘no’, per Alitalia non rimarrebbero che la dismissione degli asset e l’ipotesi commissariamento.

Per coinvolgere la maggior parte dei dipendenti le ipotesi sulla durata del referendum parlano di circa una settimana, dunque, sino al prossimo 24 aprile: se dovesse vincere il ‘sì’, gli azionisti avrebbero semaforo verde per procedere con la manovra finanziaria per rilanciare il vettore, dando il via libera ai tagli per 938 esuberi e con una riduzione agli stipendi dell’8% per alcune categorie, come definito in fase di trattativa.

Se il taglio al costo del lavoro non basta: l'analisi degli esperti
Restano da comprendere alcune manovre attuate sino a questo momento dagli azionisti di Abu Dhabi, come rileva l’economista Andrea Giuricin, dell’Istituto Bruno Leoni, dalle colonne della Stampa, che pone l’accento sul fatto che il taglio al solo costo del lavoro non è sufficiente a rilanciare un vettore in difficoltà come Alitalia.  

I punti su cui occorrerebbe insistere, secondo Giuricin, sono il costo del leasing degli aeromobili, in particolare quelli ereditati da Air One; ma anche le politiche di pricing, non solo relativamente al corto e medio raggio.

Alla voce di Giuricin si affianca poi quella di Gregory Alegi, esperto di aviazione e aeronautica e docente alla Luiss di Roma: al ridimensionamento dei costi del lavoro andrebbero affiancate politiche di revisione dei macro-costi strutturali, rileva l’esperto, come quelli inerenti alla pianificazione strategica e all’acquisto di beni e servizi, su cui in buona parte pesa la voce degli emiri di Abu Dhabi.

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