Gli 'hobbisti', ovvero gli agenti che tengono aperto grazie al nonno

Sono sempre triste, quando passo davanti a un locale che prima ospitava un’agenzia, e ora accoglie un’altra attività commerciale. Di quell’agenzia ricordo l’insegna, la vetrina e magari anche il titolare. Oggi, al suo posto, c’è una rivendita di prodotti per parrucchieri o un negozio di telefonia. O un centro per massaggi cinese, che forse è la fine peggiore. Tutti esempi reali, basta fare due passi in centro a Monza, profonda Brianza.

Perché per tenere aperta un’agenzia, coi tempi che corrono, ci vuole coraggio. Se è piccola, oltre al coraggio, serve anche una certa dose di fatalismo: “Va be', ce l’abbiamo fatta finora, hai visto mai che la crisi / il terrorismo / Booking.com / quelli_che_smanettano_come_pazzi ci diano una tregua...”. E si tira avanti, stringendo la cinghia e facendo anche le pulizie, perché persino quei 100 euro risparmiati, alla fine, fan comodo.

Ma ho scoperto che c’è un’isola felice, tra gli agenti di viaggi, che la crisi ha solo sfiorato. Sono gli 'hobbisti', ovvero quelli che tengono su la claire perché dell’agenzia hanno le mura di proprietà, le utenze le paga il nonno (che abita sopra) e vendere viaggi è comunque un lavoro figo, soprattutto a cena con gli amici.

Spesso sono giovani, talvolta senza grande esperienza, e l’agenzia l’hanno aperta grazie ai risparmi del papà (e al locale del nonno): alla fin fine, se ci scappa uno stipendio mensile di 500 euro va già bene. Perché, dopotutto, mamma e papà sono contenti che la figlia, che han fatto studiare con sacrificio, almeno un lavoro 'vero' ce l’abbia e non debba arrabattarsi con stage sottopagati. E perché, se quei 500 euro non bastano, c’è sempre la pensione del nonno.

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