I piccoli tour operator charteristi? Vanno salvati dall’estinzione (come i panda)

Ho già scritto e ripetuto che il destino dei network indipendenti è segnato. Non mi piace il ruolo di menagramo, ma temo accadrà lo stesso coi piccoli t.o. charteristi.

Che il charter sia in crisi lo diciamo da anni, e i motivi sono sempre quelli: l’avvento delle low-cost (perché rischiare su Creta o Minorca quando ci vanno già Ryanair o easyJet?!); la convenienza delle compagnie legacy su alcune destinazioni lungo raggio (alle Maldive ci va pure Alitalia, adesso, dopo le compagnie del Golfo); la riduzione delle compagnie aeree che propongono voli a domanda (Meridiana non c’è più ed AirItaly fa tutt’altro).

Lato tour operating, questo giornale titola “Se il vettore diventa t.o.”, quindi non solo le compagnie decidono come e dove volare,  ma anche come e a chi vendere i propri seggiolini.

Ma c’è un elemento che fa capire quanto il mercato sia cambiato, rispetto a pochi anni fa: quali tour operator italiani s’impegnano in catene charter? Ovviamente Alpitour ed Eden (che spingono Neos), ovviamente Settemari e Condor (che spingono Blue Panorama),  ovviamente Veratour e Nicolaus (che vanno di fiore in fiore). I grandi croceristi, ma quelli fanno storia a sé. Tra i t.o. medi, Going, Viaggi di Atlantide, TUI, ma si tratta spesso di split charter, perché i numeri per un vuoto/pieno non ce li hanno.  “Il consorzio Pantelleria, i t.o. che fanno Lampedusa, qualcosa di Kenobi in Sicilia e i piccoli t.o. napoletani e baresi che fanno charter di picco su Grecia, Malta e Croazia” mi dice un collega molto esperto sul tema. Tutto qui.

Ricordo ancora le paginate che il TTG - rigorosamente cartaceo - dedicava una quindicina di anni fa alla programmazione charter invernale (invernale, non estiva, sottolineo). I piccoli tour operator charteristi? Vanno salvati dall’estinzione (come i panda).

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