Il commento del direttore
Remo Vangelista
Prima era solo il nuovo fenomeno d’oltreoceano che strizzava l’occhio ai millennial ‘smanettoni’, ora, che la sharing economy sia un ‘attore’ economico concorrente a tutti gli effetti è ormai realtà. Lo dicono i numeri, che individuano proprio nell’Italia, uno dei primi tre Paesi europei per numero di fruitori.
È quanto emerge da un’indagine dell’Università di Pavia, pubblicata su Repubblica.it, che mette nero su bianco come il giro d’affari generato dall’economia condivisa in Italia abbia raggiunto i 3,5 miliardi di euro nel 2015, con stime di crescita che vedono salire la quota a 14 miliardi tra dieci anni e oltre i 25 miliardi nel 2025.
Un fenomeno da non sottovalutare
Un fattore che l’intera filiera del travel tradizionale non può sottovalutare. Perché, stando a un’altra ricerca firmata dalla Facoltà d Economia dell’Università Niccolò Cusano di Roma, che conferma l’Italia tra i primi fruitori, a trainare la crescita della new economy è guarda caso Airbnb, il nemico giurato degli albergatori. Seguono, con incidenza minore, car pooling, bike sharing e car sharing. Piattaforme che tra il 2014 e 2015 sono cresciute del 34,7 per cento. Utilizzate principalmente da utenti di sesso maschile (56 per cento), sotto i 44 anni, istruiti e residenti per il 53 per cento nel Nord.
E mentre nel Belpaese è in itinere l’approvazione di un Ddl per regolamentare le piattaforme sharing, l’Università di Pavia avanza anche qualche ipotesi sul futuro. Più o meno a favore delle realtà cosiddette ‘tradizionali’.
Il futuro: successo o decadenza?
Le prime tre parlano di ulteriore crescita di utenti: 12 milioni nel 2020, 16,5 milioni nel 2025 con il coinvolgimento degli over 50 e 21,4 milioni nel 2025.
L’ultima potrebbe, invece, far abbozzare qualche sorriso a qualcuno. Secondo questa la sharing economy dovrebbe raggiungere il picco massimo di diffusione nel 2019, per poi intraprendere un percorso discendente. Ai posteri l’ardua sentenza.