A cura di Robert Gentile

Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter

10 cose (non scontate) che non sapete della Cina - Seconda parte

Completo le mie riflessioni su Pechino, Xi’an e Shanghai, dopo aver pubblicato le prime cinque, che hanno suscitato molti commenti, qualcuno negativo. Lo ribadisco, le grandi città non rappresentano tutta la Cina e un viaggio di sette giorni implica una visione ovviamente parziale. Ma, leggendo e studiando quel Paese almeno dal suo ingresso nel WTO Organizzazione Mondiale del Commercio (nel 2001, ovvero da quando è diventata la “fabbrica del mondo”) qualche titolo ce l’ho.

6. La scomparsa dei contanti e l’“universo chiuso” dei pagamenti digitali - Da boomer ho l’abitudine (ormai obsoleta, lo so) di cambiare gli euro in valuta locale, anche per vedere che aspetto hanno banconote e monete in yuan. La cassiera di Uniqlo (brand giapponese, ma rigorosamente Made in China) rimane già un po’ interdetta, quando alla sua domanda “App, credit card or cash?” rispondo convinto “Cash!”. Le spiattello 40 yuan sul bancone: tre banconote da 10, una da 5 e cinque monetine da 1 yuan. La ragazza prende le banconote, le conta due volte, le mette da parte; poi prende le monete, le conta, me ne restituisce una, poi ci ripensa, dice qualcosa tipo “scusi!” e si riprende la monetina. Ho avuto la netta sensazione che - di monete e banconote - quella giovane cassiera ne maneggi ben poche. Perché la Cina è un “universo chiuso”. Le carte di credito occidentali non funzionano e se non hai le app digitali non puoi fare nulla: prenotare un treno o pagare l’ingresso in un museo, prendere un taxi o comprare una bevanda da un distributore automatico. Il fatto è che Alipay e WeChat Pay, i sistemi più diffusi, hanno digitalizzato i pagamenti elettronici a livelli molto superiori a quelli dei portafogli elettronici occidentali (PayPal, Google Pay, Apple Pay, Amazon Pay: tanto nessuno di questi funziona in Cina). I 900 milioni che vivono in città fanno acquisti solo in digitale, costantemente e anche per pagamenti minuscoli, rendendo obsolete non solo le banconote, ma anche le carte di credito. Con WeChat Pay e Alipay trasferiscono denaro a terzi e si investono i risparmi sui fondi comuni di Ant, proprietaria di Alipay e parte della galassia Alibaba. Comodità, ma anche controllo (che fa il paio con le onnipresenti telecamere del punto 5.).

7. Prima impacchettiamo tutto con la plastica, poi (forse) ricicliamo - 60 milioni di abitanti, tra Pechino, Xi’an e Shanghai, producono una montagna di rifiuti. Quindi mi aspettavo che la sensibilità “green”, dimostrata col passaggio coatto dal motore a scoppio all’elettrico, fosse estesa anche al riciclo dei rifiuti urbani. Non ho avuto questa impressione, per due motivi: i cinesi impacchettano letteralmente tutto con la plastica, a cominciare dai supermercati (dove un singolo frutto ha il suo bell’involucro in PVC) e dai ristoranti (dove ho trovato solo bacchette in plastica, mai in legno, anche per motivi di costo, deduco). Nelle strade, nei templi, nelle stazioni i contenitori dei rifiuti hanno essenzialmente solo tre scomparti: “food waste” (resti di cibo), “recyclable” e “other waste”(non riciclabili, si deduce). La differenza tra riciclabili e non riciclabili non è chiara neanche ai locali, perché nel riciclabile ho visto piatti di plastica con resti di cibo e nel “food waste” ho intravisto bottigliette (sempre di plastica, ovvio) con bevanda colorata dentro. Poi gli onnipresenti spazzini raccolgono le bottigliette in PET dai cassonetti e le separano, attuando una differenziata lenta e analogica. In giro non ho peraltro mai notato contenitori né per il vetro né per la carta. Come sensibilità green in Europa siamo più avanti.

8. L’Esercito di terracotta e Pompei hanno tre cose in comune - Il primo impatto con i guerrieri di terracotta di Xi’an lascia senza parole. Puoi averli già visti cento volte in foto, nei libri, in TV, ma l’apparizione di 2.000 di loro, a dimensioni umane, ognuno col suo volto, ordinatamente schierati su undici file, all’interno della “fossa numero 1” (grande quanto due campi di calcio) è qualcosa che non si dimentica. Si tratta dell’esercito simbolico, realizzato tra il 246 e il 206 a.C., destinato a seguire nell’aldilà il primo imperatore cinese Qin Shi Huang, lo stesso che fece costruire la Grande Muraglia. Quasi tre secoli dopo, nel 79 d.C., dall’altra parte del mondo, l’eruzione del Vesuvio avrebbe cancellato Ercolano, Stabia e Pompei. Xi’an e Pompei hanno almeno tre cose in comune: hanno custodito per quasi duemila anni un segreto, perché i primi scavi di Pompei risalgono al 1748, mentre solo nel 1974 un contadino di Xi’an rinvenne una statua di terracotta, durante lo scavo di un pozzo. In secondo luogo, Xi’an e Pompei devono alle vestigia del loro remoto passato una fama imperitura, che le rende destinazioni immancabili in qualunque tour a sfondo storico-culturale, nel rispettivo Paese. Infine, una similitudine tra le statue di terracotta, inanimate, e i calchi in gesso delle vittime dell’eruzione del Vesuvio, che hanno reso plastici gli ultimi istanti di vita degli abitanti di Pompei. In entrambi i casi, statue e vittime sono “congelati” esattamente nello stato in cui erano, oltre 2.000 anni fa. Pochissime attrazioni al mondo hanno un potere evocativo così potente.

9. Il culto dell’immagine: principesse, modelle e fotografi al seguito - A Pechino, nella Città Proibita, ti imbatti in ragazze fortemente truccate, abbigliate in costumi tradizionali, da quelli più semplici con veli e mantelli, a quelli più ricchi da principessa imperiale. Al seguito un ragazzo armato di macchina fotografica, che identifichi come il fidanzato, riprende la sua bella in tutte le pose. Pensi che sia una tradizione di Pechino, poi però vedi altre ragazze, ugualmente abbigliate, sulla Grande Muraglia, sulle mura di Xi’an (da dove partiva la Via della Seta) e a Pudong, quartiere simbolo di Shanghai. E noti che i fotografi, oltre ad avere più macchine fotografiche e smartphone, girano equipaggiati con veli, ombrellini, specchi per riflettere la luce, e che le pose sono professionali. Quindi c’è un business che prevede che una ragazza affitti un abito tradizionale e un fotografo professionista le faccia un vero e proprio servizio fotografico. Cambio di scena: Tempio del Cielo, sempre a Pechino. È lì che ho fotografato la più bella ragazza incontrata in Cina: top nero, jeans oversize, borsetta Chanel, Apple Watch, lunghi capelli neri e visino dolcissimo. In posa davanti al Tempio, lei che si offriva con naturalezza agli scatti non solo del fotografo di ordinanza, ma anche di tutti i turisti che passavano di lì. Tra principesse e modelle di oggi, il pensiero è corso al 1972, quando Michelangelo Antonioni girò “Chung Kuo”, magnifico documentario sulla Cina in piena rivoluzione culturale maoista. I poveri cinesi di allora vestivano tutti uguali e l’uniforme “tipo” era la “giacca maoista”: colletto chiuso, quattro tasche con copri tasca a bottone, colore grigio o verde. Per uomini e donne, senza distinzione. Dopo mezzo secolo, le cinesi di oggi si vendicano della giacca dei tempi di Mao. Anche perché in Cina (non solo in città) è invalso l’uso di creare il “book” fotografico pre-matrimoniale: i futuri sposi fanno degli shooting in contesti storici o luoghi esotici, con troupe al seguito, e incorre l’obbligo di sfoggiare outfit originali e il più “disneyani” possibile.

10. Sguardo fisso sul telefonino, identico sulla metro a Pechino e a Milano - Ho fotografato i viaggiatori in un vagone della metropolitana, a Pechino e a Milano. Sono esattamente identici, si distinguono solo perché i cinesi hanno gli occhi a mandorla e qualcuno indossa la mascherina. Lo sguardo è invariabilmente fisso sul telefonino, esattamente come da noi. E come da noi, pochissimi parlano, nessuno legge un libro e tantomeno un giornale. Le app cinesi sono talmente tante che ve le elenco, grazie alla sinologa Erica: WeChat (Whatsapp cinese, ma molto più vasto e strutturato); Douyin (TikTok), Weibo (Twitter/X); QQ (simil Messenger); Xiaohongshu (simil Pinterest + eCommerce), Toutiao (un aggregatore di Newsfeed); Youku (simil YouTube). Sui mezzi pubblici i cinesi si informano, guardano video e immagini, studiano tutorial, scrollano e “swipano” (da “swipe”, strisciare la punta del dito) tutto il tempo: poi, per comprare, vanno direttamente su Alipay o WeChat Pay. L’universo chiuso di cui ho parlato. Tutto digitale, allora? Non è detto. Perché il lusso di Armani Louis Vuitton Hermès Prada e Gucci si trova nei più bei negozi del centro: un po’ di cara vecchia Europa nel cuore del XXI secolo cinese.

Fine del mio reportage. Ecco la Cina che ho visto, sempre fonte inesauribile di ispirazione per noi occidentali. Stavolta, però, lasciata senza rimpianto: non è tollerabile l’impossibilità di usare Google, gmail, Whatsapp, YouTube, le carte di credito occidentali ecc. e l’impatto dei 24 milioni di Shanghai, 22 di Pechino e 14 di Xi’an non è sostenibile per più di qualche giorno...

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