Sei un imprenditore e assumi un manager? Ecco 5 regole per farlo lavorare bene

Nell’industria turistica italiana, e non solo, gran parte delle imprese è a carattere familiare: le poche eccezioni (Alpitour, la nuova Air Italy, Aeroporti di Roma, per fare qualche esempio con la “a”) confermano la regola, rappresentata da Eden Viaggi e Uvet, Nicolaus e Gattinoni. Aziende dove imprenditore e fondatore sono la stessa persona, nelle quali la scelta del manager di prima linea è complessa e fonte di gran mal di testa (per chi assume e per chi è assunto).

Allora, propongo una simulazione: mettiamo che il manager (da un direttore vendite a un CEO) sia stato scelto e oggi sia il suo primo giorno di lavoro. Che cosa deve fare l’azienda per permettergli di lavorare bene (ovvero far fruttare al meglio i soldi che costa)? 5 regole di buon senso:

1) trattarlo come un ospite di riguardo: l’azienda è come la propria casa al mare, rispecchia i gusti e le passioni del proprietario, quindi assumere un manager è come accogliere un nuovo ospite, aprendogli le porte del salotto (il commerciale), della cucina (il prodotto) e pure del frigorifero (i conti); con un sorriso, mettendolo a proprio agio e facendolo accomodare nella camera di riguardo, quella con vista sul mare (il futuro);

2) dargli tempo: i peggiori inserimenti cui abbia mai assistito sono quelli nei quali il nuovo arrivato sostituisce un collega dimissionario (magari per contrasti con la proprietà) o un manager che ha fallito (magari facendo perdere soldi all’impresa); le aspettative sono altissime, il business non dà tregua e il nuovo assunto viene investito del ruolo di “salvatore della patria”, con aspettative quanto meno eccessive; quando leggo di piani industriali con crescita del fatturato a due cifre e/o rientro dal debito, in un anno, rabbrividisco;

3) trattarlo da uomo, se è uomo, e da donna, se è donna: detto così suona banale, ma in un settore dove la componente femminile è predominante alla base e deficitaria al vertice, avere un capo donna - per un uomo - è cosa rara; a me, in trent’anni di carriera, è capitato solo una volta. Un imprenditore assume un dirigente in base ai problemi che si aspetta vengano risolti, che verranno affrontati in modo diverso da un uomo o da una donna, a prescindere dall’identico standing professionale. L’errore peggiore è attendere performance “maschili” da una donna, e viceversa: tanto per fare un esempio, decisionismo e autorità dalla prima, sensibilità ed empatia dal secondo;   

4) proteggerlo, soprattutto dalle minacce interne: ho assistito a commenti tipo “Aspetta, aspetta, non sai quello che trovi...”, sussurrati a mezza bocca da parte di dipendenti astiosi, mentre l’imprenditore tutto contento accompagna il nuovo manager in giro per l’azienda. Ho visto manager seri e preparati distrutti da una chiacchiera o da una maldicenza... L’impresa è un corpo vivo, che prova sentimenti e coinvolge emotivamente, quindi l’imprenditore deve prima preparare il manager al clima che troverà, poi metterlo al riparo, finché non sarà in grado di farlo da solo (e non è detto che ci voglia poco);

5) pensare alla sua, di carriera: i manager bravi hanno mercato e - come gli sportivi di alto livello - possono aspirare a una carriera che dura una ventina d’anni, non di più, perché poi arrivano quelli più giovani (che costano meno e sono più avanti tecnologicamente); inoltre, è ormai raro che un dirigente trascorra in azienda più di qualche anno, chi supera i dieci è già un’eccezione. L’imprenditore deve capire che fare impresa e dirigerla hanno obiettivi e modi diversi, deve fare in modo che il nuovo assunto cresca professionalmente e deve accettare il fatto che non stia lì per sempre. Se mi si concede il paragone, imprenditore e manager sono come padre e figlio: crescono insieme, stanno bene, ma prima o poi accade che le strade si separino. È la vita.

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