Un’altra pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea (C-584/22) sulle circostanze inevitabili e straordinarie che ha una rilevante ripercussione...
Nel tempo dei traduttori simultanei tascabili, attivabili in qualunque momento via app, ha ancora senso dirottare tempo ed energie cerebrali sullo studio di una nuova lingua? Chiara Avidano pensa di sì, e non per passatismo ma per via delle conferme che settimanalmente riceve dai turisti iscritti ai corsi di lingua italiana tenuti in uno dei palazzi più eleganti di Torino, a sua volta affacciato su una delle piazze più rappresentative della città.
In quelle stanze per la verità le lingue si studiano da decenni: ai tempi della Torino industriale ci andavano gli italiani a imparare il tedesco, mentre oggi ci vanno i tedeschi a imparare l’italiano. E ovviamente non solo loro. “In un anno riusciamo a mettere insieme un centinaio di nazionalità”, spiega Avidano, direttrice di CiaoItaly, la sede torinese del gruppo Scuola Leonardo da Vinci, presente anche a Firenze, Viareggio, Roma e Milano. Ma chi sono questi aspiranti italofoni? “Molti sono viaggiatori che si fermano per qualche settimana o addirittura per qualche mese, alcuni per lavoro altri per prepararsi agli studi universitari in città. Ma ci sono anche persone di passaggio che, pur fermandosi pochi giorni, approfittano per imparare un po’ di italiano – quello che serve per muoversi autonomamente tra musei, negozi, alberghi e ristoranti - oppure per migliorare le conoscenze già acquisite”.
Accade di trovarli inaspettatamente davanti alla porta, al momento dell’apertura della scuola, senza prenotazione, solo perché hanno visto un post sui social che li ha incuriositi. “Ma non diciamo di no a nessuno, anche perché facendo parte dell’ASILS disponiamo, cosa non comune, di uno staff di docenti assunto, che ci consente di garantire la massima elasticità”, sottolinea Avidano, che in quegli ambienti si muove da perfetta padrona di casa, sorridendo e salutando per nome buona parte degli studenti che sfilano nei corridoi densi di murales firmati dal collettivo di artisti We Run The Streets. “Ho voluto fossero loro, con il loro tratto delicato e contemporaneo, a trasferire sui nostri muri quello che ogni nostro studente dovrà portarsi dentro di Torino: cioccolaterie, caffetterie, vini, design, barocco, chilometri di portici, archeologia egizia e via dicendo”.
In queste aule si respira infatti una rispettosa attenzione per la dimensione profonda dello studente-turista. “Desideriamo che, attraverso l’udito, la nostra lingua e la nostra città scendano fino all’anima”. Una delicatezza che gli studenti di ogni età percepiscono concretamente. Tanto che, quando capita di tornare in Italia per qualche ragione e anche a distanza di molti mesi, ripassano per un saluto e una rinfrescata delle conoscenze linguistiche. “Per alcuni costituiamo un punto di riferimento in città. Ci chiedono informazioni anche su servizi che non riguardano prettamente il turismo, perché alcuni rimangono lontano da casa per settimane o mesi. Si crea un rapporto di fiducia”. A rafforzamento della lingua, il programma include tour della città in italiano, realizzati in collaborazione con guide autorizzate. “Lavoriamo volentieri con gli operatori torinesi Somewhere e CulturalWay - dice Avidano – mentre per i corsi di cucina collaboriamo con la Cookin’ Factory Claudia Fraschini. Tengo però a sottolineare che non ci limitiamo a visitare i luoghi iconici ma, ad esempio, facciamo passeggiate nei quartieri del Liberty, allo storico villaggio operaio Leumann, al Palazzo del Consiglio Comunale”. Territori in cui sperimentare la lingua, facendola vivere e vibrare. Per “stare” e per “abitare” lo spazio. Sotto il mero profilo linguistico non è da escludere che un’app lo farebbe meglio e probabilmente anche più in fretta. Nasce però il dubbio rispetto a come tutto questo possa sposarsi con le aspettative dei cosiddetti “nuovi viaggiatori”, secondo le statistiche di settore sempre meno desiderosi di essere catalogati come turisti e molto più orientati a trasformarsi abitanti temporanei.
“Se vuoi capire una cultura devi partire dalla sua lingua”, raccomandava infatti Umberto Eco. E forse è proprio - o anche - qui che andrebbe cercata - se davvero esite o ha senso pensare che esista - la supposta differenza fra turista e viaggiatore.