No sacrosanto, ma adesso serve una svolta

La decisione del governo Monti di rinunciare alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 è sacrosanta. Avranno di che lagnarsi i concessionari  Audi e Mercedes di Roma e dintorni, molto meno - ritengo – gli operatori turistici della Capitale e del Paese in generale.

Da sempre questi grandi eventi sportivi hanno generato flussi e benefici molto più nelle previsioni che nei rendiconti finali. Le motivazioni del no le abbiamo lette e stralette, le reazioni anche. Ovviamente rarissimi i passaggi che hanno riguardato il turismo, al di la di qualche generica affermazione appunto sui mancati flussi titanici da ogni dove.

In fondo in fondo del turismo non frega quasi niente a nessuno, in termini industriali intendo dire, dunque sarebbe sbagliato stupirsi di questo timido balbettio del comparto, dal punto di vista istituzionale e delle associazioni di categoria.  

La vera occasione mancata non sono le Olimpiadi bensì la sola cosa buona che questo tipo di evento è in grado di scatenare, vale a dire l’occasione per fare progetti integrati di sviluppo. In queste occasioni la pioggia di denaro (prevalentemente pubblico) riesce a mettere in moto o a sbloccare progetti e idee fermi da anni, riesce far diventare improvvisamente creativi urbanisti, esperti di infrastrutture, city manager, insomma tutti quei soggetti solitamente dormienti il sonno della ragione, narcotizzati dietro il comodo paravento della carenza di investimenti.

Allora servirebbe uno scatto d’orgoglio, servirebbe un governo che capisse il valore strategico che potrebbe avere per l’Italia una gestione intelligente del sistema turistico. Nel 2020 saremo più di oggi una destinazione avviata, insieme al resto dell’Europa mediterranea, a diventare esotica. I grandi mercati saranno altrove, le grandi produzioni, la ricerca e i giovani anche. Resteremo 60 milioni di persone o giù di lì che vivranno in uno dei posti più belli del mondo. Una destinazione esotica, appunto.

Il no di Monti a Roma 2020 è sacrosanto. Il valore aggiunto di questo no sarebbe non dico un progetto, ma quanto meno la percezione chiara della necessità di stimolare una strategia concreta sulla destinazione Italia, per la quale sì investire anche qualche miliardo di euro.

Ma in giro sento ancora parlare dell’esigenza vitale di avere un sito Italia.it cui affidare la promozione in chiave moderna del Paese: vuol dire che prima ancora della percezione mancano risorse umane e know how forti e affidabili. Oppure che queste risorse ci sono ma abitano in palazzi diversi da quelli del potere.

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