Le imprese turistiche familiari: un bene (o un male?) necessario

In Italia, tre attori della filiera turistica sono indissolubilmente legati all'"impresa familiare", ovvero quella gestita dal fondatore e dai suoi consanguinei: gli alberghi (e le poche catene italiane di proprietà), le agenzie di viaggi e i tour operator. Di questi ultimi ho scritto che solo due grandi gruppi (Alpitour e Valtur) sono affidati a un management indicato dalla proprietà (fondi d’investimento, nello specifico); in tutti gli altri, è la proprietà a gestire l’impresa in prima persona.

Non è mia intenzione indicare quale modello sia migliore, tra la gestione managerial-industriale e quella familiar-artigianale, perché entrambe hanno fautori e detrattori. Vorrei dimostrare come sussistano, tra i t.o. italiani, tre modalità con le quali il "founder & owner" (ora si chiama così) controlla la propria impresa:

1) Qui comando solo io: l'azienda l'ha fondata lui, l'ha cresciuta come un bambino, l'ha portata a buoni (o eccellenti) livelli, l'ha gestita praticamente da solo (o col socio/amico della prima ora, sempre un po' in ombra) e al management ha sempre affidato ruoli prettamente operativi e deleghe limitate; se ha coinvolto i familiari, ha comunque avuto l'ultima parola, in qualsiasi decisione strategica. Però, finché ha retto, la sua era una macchina da guerra. Cito due casi fuori dall'agone turistica, al momento: Bruno Colombo e Viaggi del Ventaglio; Franjo Ljuljdjuraj e Orovacanze.

2) Comando sempre, ma delego volentieri: la sua vita è l'impresa, alla quale ha dedicato decenni di dedizione e d'impegno senza sosta; ma a un certo punto ha capito che da solo non ce la poteva fare, che la moglie o i figli non bastavano, che mancava "qualcosa" per fare il salto e non perdere il treno del mercato. Ha scelto dei manager, ai quali ha concesso deleghe e potere decisionale, e la scelta ha funzionato. Cito solo tre casi, ma sono molti di più: Nardo Filippetti di Eden, Carlo Pompili di Veratour, Michele Serra di Quality Group.

3) Comando io, e faccio casino: con l'impresa ha un rapporto quasi morboso, perché lui è l'azienda e l'azienda è lui; se un cliente fa fatica a pagare, gli toglie il saluto; se le agenzie non lo prenotano, è colpa loro che sono ignoranti; se il commerciale si lamenta col prodotto perché non riesce a vendere, dà fuori di matto con tutti e due. I manager sono cambiati spesso, i figli sono ridotti a tappezzeria. Nomi non ne faccio, ma raramente queste imprese raggiungono la seconda generazione. "Dopo di me, il diluvio", come disse il re di Francia Luigi XV.

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