Ota Viaggi T.O. di Roma: tre punti di forza, uno (solo) di debolezza

Nel panorama dei tour operator a gestione familiare (quelli nei quali la proprietà è ancora in mano ai fondatori) Roma fa la parte del leone: se la leadership spetta da anni a Veratour della famiglia Pompili, seguono a ruota Idee per Viaggiare di Danilo Curzi, Roberto Maccari e Stefania Fusacchia, quindi Ota Viaggi T.O. della famiglia Aprea, Futura Vacanze di Stefano Brunetti, Viaggi del Mappamondo di Andrea Mele e Viaggi dell’Elefante di Enrico Ducrot. E poi Karisma Travelnet, Meridiano Viaggi, Todrà e mi scuso se ne ho dimenticato qualcuno. L’imprenditore si identifica totalmente con la sua creatura (era così anche in passato, si pensi a Sprintours di Jalel Hebara) e solo la sua capacità di “leggere” il mercato ha permesso a tutti i marchi citati di sopravvivere (alcuni più che bene) allo tsunami della pandemia.

Ota Viaggi T.O., però, ha quattro elementi che la distinguono dai colleghi capitolini: tre indubbiamente positivi, uno che può essere considerato negativo, ma anche no.

1. La famiglia Aprea è presente, ma non incombente. Prendiamo il caso opposto, quando la famiglia non solo è (era) presente, ma molto incombente: Viaggi del Ventaglio si identificava con Bruno Colombo, ma anche con Luigi Colombo, Alessandro Colombo e Stefano Colombo. Domenico e Mario Aprea, la seconda generazione di Ota Viaggi, erano praticamente sconosciuti fino al 2019, quando celebrarono i trent’anni dalla fondazione, insieme al padre Stefano. Non che il ceo Domenico e il cfo Mario non siano presenti in azienda, anzi, ogni decisione strategica passa dalla loro scrivania. Però - magari per ignote discendenze sabaude - amano l’understatement.

2. Il direttore commerciale è lo stesso da ventidue anni e mezzo. Massimo Diana è molto più di un direttore commerciale, il mercato lo sa e la proprietà gliene rende merito. Anzi, a rendergliene ancora più merito è stato il contest che lo ha nominato “Personaggio dell’anno 2022” per questa testata: primato peraltro sottratto a un t.o. molto più grande e molto poco romano. Diana viene dai villaggi e in OTA Viaggi è cresciuto da zero, o quasi, agli 82 milioni di fatturato del 2022: visto che il successo di un t.o. è determinato da soli due elementi - prodotto e vendite - si capisce perché Massimo Diana sia sulla strada di quei manager giapponesi, tipo Toyota, che una volta entravano da stagisti e uscivano da pensionati.

3. E' l’utile che conta, non il fatturato. Tradotto, conta l’ultima riga del bilancio, non tutto quello che c’è sopra. E Ota Viaggi non ama sparare cifre a caso. Del tutto in controtendenza rispetto alle arrembanti start-up che infestano pure il nostro settore: ne cito una, ovviamente senza fare nomi, nella quale mi sono appena imbattuto. Vende esperienze e promette (ai finanziatori) di fare 1 milione nel 2023, 3 e mezzo nel 2024 e 10 milioni nel 2027. Però non è di Roma. Né azienda familiare.

4. Mono-prodotto Mare Italia: vantaggi e svantaggi. Numeri Ota Viaggi T.O. del 2022: 50 milioni di fatturato sulla Sardegna. 11,5 sulla Sicilia. 9 sulla Puglia. Il resto in altre regioni, da Toscana e Marche in giù. Utili non dichiarati, ma chi fa Mare Italia li può immaginare. Niente montagna. Niente città d’arte. Niente incoming. Niente Grecia, né Spagna, né Tunisia o Mar Rosso. Neanche nei momenti più bui della pandemia è stato concesso a una DMC qualunque, da Atene a Bali, di accedere alla sede in Colli Aniene. Due le scuole di pensiero: l’estrema specializzazione esige la concentrazione su quello che si sa fare bene, così lo si vende meglio; il mono-prodotto è rischioso, punto. Propendo per la seconda ipotesi, ma ognuno valuti per conto proprio. Oppure aspettiamo che ce lo dica il direttore commerciale Massimo Diana. Nel 2043.

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