József Varadi, Wizz Air:il low cost non è finito

Il low cost esiste ancora, con buona pace di Micheal O’Leary. C’è vita oltre Alitalia e anche oltre Ita. E per crescere non è proprio così necessario acquistare altri vettori. È un József Varadi (quasi) a ruota libera. Il ceo di Wizz Air, di solito estremamente abbottonato, in un’intervista a Repubblica non si nasconde, neppure sul tema ritardi e cancellazioni, tema non proprio felice per la sua compagnia.

La fine del low cost non esiste
Si parte dal fenomeno low cost e dalla sua presunta scomparsa. Che per Varadi non è in vista. “È vero: stiamo conoscendo una crisi energetica significativa, il prezzo del carburante è più alto del normale. Ed anche gli aumenti del costo del lavoro si insinuano nei nostri bilanci – dice -. Ma questi andamenti sono ciclici. I carburanti, voglio dire, in un periodo costano molto, in altri meno. Da sempre siamo sulle montagne russe”. Le soluzioni in casa Wizz per mantenere bassi i prezzi sono molte e Varadi fa degli esempi: “Stiamo comprando nuovi aerei, ad esempio, e rimpiazziamo i velivoli piccoli con altri, più grandi. In questo modo, il costo del volo per passeggero trasportato si riduce. Così riusciamo a reggere i venti contrari dell'aumento delle spese”.

Cancellazioni e ritardi
Non si nasconde il ceo di Wizz davanti ai problemi di puntualità e regolarità dei voli. "Abbiamo imparato molto dalla dura lezione della scorsa estate, quando l'intera catena di approvvigionamento si è inceppata intorno a noi, trascinandoci nei suoi problemi – spiega -. Adesso noi distribuiamo meglio i nostri aerei negli scali di tutto il mondo; abbiamo aumentato i piloti alla cloche e il personale in cabina, investendo in nuovi motori e pezzi di ricambio. I nostri programmi di volo sono molto più flessibili, quindi se accumuliamo dei ritardi all'inizio della giornata, siamo comunque in grado di garantire il decollo o l'atterraggio di tutti i voli programmati quel giorno”.

L’affaire Lufthansa-Ita e la crescita
Le dinamiche dei cieli europei vengono guardate in maniera “vigile, ma serena”. Il dinamismo di Lufthansa, in modo particolare, che dopo Ita potrebbe essere interessata anche a Tap in Portogallo e a Lot in Polonia. "Stiamo guardando con grande attenzione all'operazione su Ita. Ma prima di fare qualcosa, bisognerà vedere se l'accordo c'è davvero e quali sono i suoi termini. Ci auguriamo che l'accordo rispetti tutte le direttive e i regolamenti dell'Ue; e che la Commissione europea si formi una opinione appropriata prima di approvare l'intesa".

In sostanza, dice Varadi, “guardiamo alle mosse dei nostri concorrenti, ma guardiamo soprattutto a noi stessi. Ogni anno stiamo crescendo del 30%”. E la crescita, dice il ceo, non passa per forza dall’acquisizione di altre compagnie. "Comprare non è l'unica ricetta per crescere. Noi abbiamo uno schema di gioco alternativo. Puntiamo ad aumentare il tasso di fedeltà delle nostre viaggiatrici e dei viaggiatori. Abbiamo già portato i clienti abituali da 51 a 65 milioni, e sogniamo di arrivare a quota 170 milioni. Prendere un'altra compagnia, mi creda, può rivelarsi una seccatura”.

E spiega: "Non vedo perché devo perdere tempo ed energie per integrare, nella mia, delle compagnie aeree che hanno aerei diversi, modelli organizzativi particolari, culture aziendali estranee alla nostra. Non vedo perché io dovrei comprare vettori che sono in vendita solo perché vanno male. Molto meglio acquisire singoli asset. Noi, ad esempio, abbiamo preso volentieri degli slot all'aeroporto di Gatwick, a Londra. Li cedeva Norwegian, nei mesi del Covid".

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