Non mi piace la divisione delle spoglie di quel che rimane di Valtur

“Finisce nel silenzio l’ennesima partita persa di Valtur e corre a grandi falcate la corsa per l’assegnazione dei villaggi usciti dal perimetro” scriveva pochi giorni fa il direttore di questa testata. Così è: Bonomi ormai si occupa di altro e intorno alle spoglie di quella che, solo un anno fa, era la “nuova Valtur” si affollano i competitor, noti e meno noti. Il Tanka è già andato.

C’è qualcosa di male in tutto questo? No, “è il mercato, bellezza!”. Se c’è qualcosa di buono, nel portafoglio Valtur, è giusto che esso finisca a chi è in grado di gestirlo e di far lavorare coloro che, in Calabria e in Puglia e in Sicilia, con la stagione in villaggio ci fanno campare la famiglia.

Ma ci sono tre cose che non mi piacciono, in questa situazione. Primo, il destino dei dipendenti Valtur (tra tempo determinato e indeterminato, esattamente 231) è segnato: chi acquisirà i villaggi li gestirà con la propria struttura e il proprio personale, certo non prenderà il booking della sede di via Conservatorio a Milano. Prima o poi, tutti a casa.

Secondo, il Mare Italia farà il botto per il terzo anno di fila, e certe strutture Valtur – le migliori, non tutte – faranno numeri che arricchiranno il bilancio 2018 di chi avrà la fortuna di prenderle. E siccome l’assegnazione favorirà inevitabilmente alcuni rispetto ad altri, non sarà la libera concorrenza a vincere.

Terzo, parlando con tanti addetti ai lavori, percepisco un sentimento molto diffuso, che  in tedesco si chiama “Schadenfreude” e indica un dissimulato piacere al cospetto delle disgrazie altrui. Come dire “Caspita, poteva succedere a noi, per fortuna è successo a loro!”. Sentimento umano, d’accordo, e senza conseguenze. Ma del quale non andare orgogliosi.

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