Il commento del direttore
Remo Vangelista
Da simboli di trionfo dell'ingegneria novecentesca a mete di culto per i viaggiatori di tutto il mondo.
Si tratta di un destino comune a molti ponti celebri che hanno oltrepassato la loro funzione originale diventando luoghi identificativi delle città che li ospitano, monumenti da vedere, toccare, sui quali farsi fotografare; roba da far vedere agli amici al bar o all'onnipresente suocera parcheggiata sul divano, giusto per dire "ci siamo stati", senza documentarsi troppo su storia, tradizioni e seccature di conoscenza analoghe.
La bussola dei famous bridges punta inevitabilmente verso la nazione che, almeno nel secolo passato, è stata faro indiscusso della società, gli Stati Uniti.
E così non sono poche le masse indefinite dei turisti che si fanno immortalare sul Golden Bridge di San Francisco o, balzando nella East Coast sul ponte di Brooklyn o sul Verrazzano Narrows che porta a Staten Island.
Da questa parte dell'oceano, il Vecchio Continente non può di certo lamentarsi tanto, infondo.
Il Tower Bridge di Londra è più celebre della regina, il ponte di Oresund collega Copenaghen e Malmo con l'irreprensibile efficienza nordica, sino ad arrivare ai meravigliosi ponti sulla Senna, o a tutte le strutture che uniscono le città bagnate dal Danubio.
E infine lo sguardo si sposta sull'Italia, dove da Nord a Sud è inevitabile lasciarsi attraversare da un velo di imbarazzo.
A Venezia il Ponte di Rialto è stato salvato in extremis da un finanziatore privato offertosi sponsor per il restauro mentre il tanto discusso e bistrattato ponte sullo Stretto di Messina è poco più un barzelletta risaputa da tutti e ormai incapace di strappare un sorriso che fosse uno.
E così, rapidamente, quel velo di imbarazzo diventa un insostenibile magone.
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