La Nazionale, l'autografo e la merenda

Sapete cosa mi ha chiesto mio figlio Matteo al fischio finale di Italia-Uruguay? “Però vero che lo cerchiamo lo stesso il numero da mettere sulla maglia dell’Italia che mi avete regalato?”.

Confesso che invidio questo modo di vedere le cose dei bambini. Allo sguardo progressivamente incupito di Matteo man mano che i secondi sancivano l’eliminazione dal Mondiale ha fatto seguito il mio timore di uno scoppio in lacrime, prontamente rassicurato da questa splendida richiesta.

Il classico rituale aeroportuale di ogni ritorno della Nazionale dopo i mondiali quest’anno è stato un flop. Ogni 4 anni l’aeroporto diventa il teatro della tragedia o del trionfo. Avrei scommesso su Malpensa teatro di insulti e improperi che di per sé nulla aggiungono alla pessima figura fatta dalla nostra squadra in Brasile, anche al netto delle decisioni arbitrali. Invece ha prevalso l’indifferenza.  

Voglio però continuare a immaginare che i bambini, in aeroporto, siano corsi comunque incontro con un foglio e una penna pronti a farsi firmare l’autografo o con la maglietta della Nazionale addosso per avere la firma direttamente lì e non lavarla mai più. Diciamolo, è la parte sana di questo (e di altri) sport che corrono solamente dietro ai milioni e agli sponsor.

Narra la leggenda che uno di questi piccoli stesse mangiando la merenda in attesa dell’autografo del suo idolo, il quale a sua volta lo ha guardato sorridendo chiedendogli: “Buona?”. “Sì – ha risposto – vuoi un morso?”. A voi la scelta sulla reazione di Chiellini.

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