Il mondo ha fame d’Italia: il 2018 è servito

È andata. Con buona pace del Mibact, l’Anno dei Borghi si è concluso all’insegna di un meritato successo e tassi di incremento dei flussi turistici a doppia cifra. Il 15 dicembre, giorno della chiusura ufficiale, il Miur ha sottoscritto con l’Anci un protocollo d’intesa volto a dirottare in quegli stessi scampoli d’Italia le scolaresche in viaggio, affinché possano farsi portavoce delle meraviglie che racchiudono.

Ora si volta pagina. E si passa al Cibo Italiano, leit motiv 2018 del nostro turismo. “Il mondo ha fame d’Italia”, dichiarava a giugno Maurizio Martina, al timone del dicastero per le politiche agricole e alimentari, preannunciando il tema congiuntamente al titolare del Mibact Dario Franceschini.

“Dedicare il 2018 al cibo italiano – aggiungeva - è una scelta tutt'altro che banale. Significa porre ancora una volta l'accento su parole chiave come qualità, eccellenza e sicurezza che rendono unici i nostri prodotti”.

La recente misurazione Ipsos sull’attrattività della Penisola conferma che i mercati turistici stranieri continuano in effetti a premiare la nostra offerta enogastronomica, collocandola sul podio dei prodotti più apprezzati, subito dopo le bellezze naturali ed i paesaggi. Se poi ai tanti bacini sondaggiati viene chiesto ‘perché farebbero un viaggio in Italia’, la motivazione ‘cibo e vino’ risulta essere addirittura a pari merito con ‘opere d’arte e monumenti’, abbondantemente prima di mare, manifestazioni culturali, shopping ed eventi relativi alla moda.

È dunque verissimo che dedicare un anno al Cibo Italiano non solo non sia una scelta banale, ma implichi spingersi ben oltre la consueta esaltazione di ricette e menù tipici. L’elemento va infatti posto al centro di un sistema di valori in gran parte da ridisegnare. E su questo, qualche sera fa durante il vivace confronto avuto con Carlin Petrini nella sede torinese di Eataly, Maurizio Martina è stato chiarissimo: “non servono idee romantiche”.

Nel libro “Dalla terra all’Italia” che in quell’occasione ha presentato, non ha tralasciato di segnalare che la filiera economica legata al cibo – di cui turismo e ristorazione sono parte – potrebbe essere messa in serio pericolo dalla fragilità idrogeologica del Paese; una fragilità che deve essere “risolta prima di tutto dal versante agricolo, lavorando sulla gestione, tutela e valorizzazione del territorio”.

La chiave di lettura per questo nuovo anno turistico, insomma, va ben oltre il mero folclore. Altri fattori e consapevolezze devono entrare in gioco. Ad esempio il fatto che, come è stato ricordato nel recente Forum Barilla, nel Food Sustainability Index curato da BCFN e The Economist Intelligent Unit, il nostro Paese si sia classificato primo al mondo per l’agricoltura sostenibile. Oppure che, come si legge nel libro, sul fronte vitivinicolo “siamo la patria della biodiversità, con oltre 500 vitigni coltivati” e abbiamo etichette tutelate da “regole più chiare, controlli rafforzati, tracciabilità per dare più garanzie al consumatore e maggiore valore alle cantine”.

O, ancora, che dal 2015 il brand “The Extraordinary Italian Taste” porta nel mondo le eccellenze della nostra produzione agroalimentare, contribuendo a rendere ancora più desiderabile l’esperienza del viaggio in Italia. Si deve cavalcare il tema sapendo infine che nel 2016 è stata istituita la prima “Settimana della cucina italiana nel mondo”, replicata nel 2017, grazie alla quale gli chef italiani hanno avuto modo di dimostrare “la loro capacità attrattiva in 105 Paesi, con oltre 1.300 eventi tra cui concorsi, conferenze, degustazioni, cene a tema, mostre legate alla cucina e seminari tecnico-scientifici”.

L’idea, spiega Martina, è “rappresentare il cibo come una delle massime espressioni della cultura del nostro popolo, ricordando che l’esperienza alimentare italiana è una metafora del cambiamento possibile di questo Paese”.  Da Petrini è arrivato l’immancabile, accorato invito a “restituire valorialità al cibo. Affinché in tutte le scelte che lo riguardano non ci si basi più solo sul prezzo, ma sul valore etico che l’alimentazione ha per l’essere umano”. A politica e operatori della filiera agroalimentare l’ideatore di Slow Food chiede più coraggio. “Il nostro – concorda l’autore del libro – non è un cibo che nasce lontano, fisicamente e culturalmente, dalla terra dalla quale proviene. Per questo è un fattore di unicità, che nessun prodotto italian sounding riuscirà a restituire”.

@paolaviron

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