Investimenti alberghieri in calo in Italia, le catene scelgono il franchising

Tempi difficili per gli investimenti alberghieri in Italia, soprattutto per quelle strutture a 3 stelle che, da sempre, rappresentano lo zoccolo duro dell'hotellerie della Penisola, e che ora gli investitori non considerano più, scegliendo solo hotel a 4 e 5 stelle.

Le stime indicano in 600 milioni di euro l'ammontare degli investimenti nel comparto nel corso del 2013 ma, secondo l'analisi di Trademark Italia riprtata da Event Report, si tratta di un dato che include tutte le transazioni, anche i passaggi degli hotel dalle banche alle bad company, o le acquisizioni sottoprezzo di strutture insolventi da parte dei creditori.

Un panorama gravato da un eccesso di offerta, la cui eredità pesa ora sulle spalle degli imprenditori dopo il boom di costruzioni che ha caratterizzato gli anni d'oro del turismo ricettivo italiano.

Una sovrabbondanza di edifici che oltretutto, con il passare del tempo e le nuove esigenze dei viaggiatori, necessitano di investimenti continui nel restyling delle camere e nella riconversione degli ambienti comuni ad aree più attrezzate soprattutto dal punto di vista tecnologico.

Il motivo per cui un 3 stelle è meno appetibile agli occhi di un investitore degli hotel di fascia alta è evidente: il rendimento è inferiore a quello dei 4 e 5 stelle e non giustifica le spese di manutenzione e di gestione diretta.

Quest'ultimo punto è l'altro tasto dolente dell'hotellerie italiana: le catene internazionali, ma quelle nostrane, hanno smesso di acquistare immobili con operazioni che necessitano di capitali sempre più ingenti, orientandosi piuttosto sulla gestione delle unità alberghiere con affitti, franchising e contratti di management.

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