Fiandre: uno spot contro il turismo dei numeri

Non so se possa trattarsi di un caso di Real Time Marketing, nello specifico della tipologia ispirata dalle breaking news che oggi invitano tutti noi a considerare il vero senso dell’incontro con l’altro, con il cosiddetto straniero che tanto ci piace quando siamo in viaggio e molto meno ci aggrada quando ci spogliamo del romantico ruolo di (supposti) esploratori del pianeta.

Certamente quello delle Fiandre è uno spot che invita a tentare una riflessione su pregi e difetti di una crescita turistica meramente fondata sulla quantità. Allo scopo di capire cioè se l’incremento dei numeri sia ancora un parametro in base al quale elaborare strategie di sviluppo sensate.

“Se i turisti verranno nelle Fiandre in quantità sempre maggiore porteranno certamente un mucchio di denaro, ma questo è davvero sempre una buona cosa? – domanda la voce narrante – Verranno fin qui per incontrare altri turisti o per vedere il nostro Paese, per condividere con noi che lo abitiamo spazi e cultura? Saranno più concentrati ad ammirare la propria immagine immortalata in un selfie o a guardarsi intorno?”

Quella che lo spot si pone infine è forse la domanda delle domande: il turismo deve essere un arricchimento per l’anima o per il portafogli? Il buon senso potrebbe suggerire che sarebbero auspicabili entrambe le cose. Il punto è però trovare il giusto equilibrio fra le due. Fino ad oggi si è probabilmente tutti pensato principalmente al portafogli. Ma “il mondo sta cambiando” ci ricorda il video. E “viaggiare dovrebbe servire prima di tutto ad aprire la nostra mente, ad avvicinare noi stessi al resto del mondo”.

Una volta di più, il turismo viene ricondotto al proprio originario campo di gioco: non più mero atto di consumo bensì espressione dell’umano impulso a scoprire l’altrove. “Viaggiare – ricorda infatti il filosofo Michel Onfray – presuppone una volontà etnologica, cosmopolita, decentrata e aperta”. E presupporrebbe anche una “riscoperta della geografia in chiave poetica”.

Riabituandoci così all’arte di “lasciarci impregnare dal paesaggio” con la volontà di comprenderlo in ogni sua piega. Inclusa quella umana.

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