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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter

Perché gestire con profitto una compagnia aerea, in Italia, è quasi impossibile

11/01/2022
14:43
 

Air Europe, Volare Airlines, MyAir, Eurofly, Alisarda, Meridiana, Itavia, Air Italy, Gandalf, Noman, AirOne, Lauda Air Italia, Livingstone, Air Vallée, Wind Jet, Blue Panorama, Ego Airways, Air Italica, Air Sicilia, Alpi Eagles, Azzurra Air, Ernest Airlines, Federico II Airways, Italair, Minerva Airlines, Mistral Air. Questo è l’elenco di 26 “imprese titolari di licenza di trasporto aereo” con sede in Italia (secondo la definizione ufficiale Enac) che oggi non volano più. L’ordine è volutamente casuale, non segue né quello cronologico (tra Noman ed Ernest corrono vent’anni), né l’avvicendamento della proprietà (Alisarda, Meridiana, Air Italy), né tantomeno il motivo per il quale aerei con livrea Blue Panorama (che forse troveranno un acquirente) o Air Italy (vicenda senza fine) sono a terra da mesi.

Gestire una compagnia aerea in Italia, solo scorrendo quei nomi, pare impossibile. Tre eccezioni a parte (che non citiamo per motivi di privacy), proviamo - da semplici viaggiatori - a spiegarne il perché, in quattro punti.

1. Perché chi fonda una compagnia aerea non capisce nulla di compagnie aeree. L’esempio più eclatante è quello dell’imprenditore vicentino, orafo di professione, Gino Zoccai, che nel 1997 fondò Volare Airlines, aviolinea low cost nata da una costola di Air Europe (sede a Busto Arsizio, nei pressi dell’allora nuovo aeroporto di Malpensa, che doveva diventare un super-hub europeo). Anche Massimo Ferrero di aerei non sapeva nulla, ma nel 2009 rilevò le quote della Livingstone Energy Flight fondata da Bruno Colombo, che operava già da anni. Perché uno Zoccai o un Ferrero hanno gettato milioni in una compagnia aerea? Premesso che non consideriamo motivi non leciti (se ne parlò, all’epoca) la ragione principale è la visibilità garantita da un business del genere, che genera relazioni politiche, istituzionali, sociali come poche altre attività.

2. Perché le compagnie aeree straniere non conoscono il mercato italiano. Low-cost a parte (che hanno tutt’altre metriche, per loro l’Italia è uguale alla Spagna o alla Polonia), consolidate compagnie straniere hanno clamorosamente bucato in Italia. Anche qui, un esempio per tutte, quello di Qatar Airways e Meridiana/Air Italy. Ma anche Lauda Air Italia affossò i sogni di gloria dell’austriaco, ex campione di formula 1, Niki Lauda. In questi casi, le colpe non ricadono tanto sulla casa madre (a Doha, solo una decina di anni fa, chi aveva mai sentito parlare di Meridiana?) ma sul management e sulle immancabili società di consulenza, che hanno previsto sviluppi che non ci sono stati e improbabili economie di scala: il feederaggio è come l’araba fenice, risorge sempre dalle proprie ceneri.

3. Perché il mercato italiano è limitato e troppi pochi italiani volano. Gli italiani si sono abituati a viaggiare in aereo meno di una trentina d’anni fa, con l’avvento delle low-cost. Prima volare era considerato costoso e - fa effetto notarlo oggi - elitario. Gli appassionati di cinema sanno che, negli anni ’60 e ’70, torme di paparazzi immortalavano star come Sophia Loren o Alberto Sordi sulla scaletta del turboelica in partenza dal “nuovo” aeroporto di Fiumicino (inaugurato nel 1961). L’auto è da sempre il mezzo di trasporto più amato dagli italiani e - per andare da Torino a Bologna, per dire - si usava quella. La tratta Roma-Milano è stata una delle più redditizie del mondo, fino all’avvento dell’Alta Velocità. Due sono quindi le destinazioni che generano veramente traffico: il sud Italia (Sicilia in particolare) dal nord, e la Sardegna (però per 4 mesi all’anno): non a caso compagnie come Air Sicilia e Wind Jet hanno operato da Catania e l’Aga Khan fece decollare dalla pista in terra battuta (!) di Olbia-Villafiorita il primo bimotore Alisarda, nel 1963. Però due destinazioni non bastano a far stare in piedi i conti. Altro discorso le compagnie specializzate in voli charter, che gli italiani li portavano all’estero (Air Europe, Eurofly, Lauda Air ecc.): hanno avuto momenti di gloria, fino a una dozzina di anni fa, ma poi sono state spazzate via dalla concorrenza, low-cost prima e legacy come le medio-orientali dopo. E anche dalla crisi del tour-operating causa disintermediazione.

4. Perché l’aviazione è un business rischioso, imprevedibile e senza controllo. Questo è il motivo principale, che supera di gran lunga i precedenti. Volare, come viaggiare, è un’attività indissolubilmente legata alla destinazione: tutti ricordiamo il primo, globale e unico stop dell’aviazione mondiale, dopo l’11 settembre. Da decenni attentati terroristici hanno prodotto danni gravissimi ad aeroporti (Fiumicino, 1973 e 1985) e compagnie aeree (Itavia, 1980). Eventi atmosferici (lo tsunami del 2004, l’eruzione del vulcano islandese nel 2010) ed endemie (malaria in centro Africa, Ebola, la prima Sars  del 2003) hanno arrestato il traffico nei Paesi colpiti, per mesi o per anni; le conseguenze a lungo termine dell’attuale Sars-Cov-2 sono ancora imperscrutabili. Questo a livello globale, mentre in ambito regionale, basta la decisione di un politico locale di chiudere un aeroporto oppure lo stop nell’erogazione di fondi, precedentemente promessi, per fermare una compagnia aerea.

Conclusione: gestire una compagnia aerea è un business complicato; farla fruttare, in Italia, è quasi impossibile. Beati quelli che ci riescono.


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